martedì 30 gennaio 2018

All the promises we made

- Detroit

La sua festa dei diciotto anni l'ha passata a vomitarsi sulle scarpe, sbandando tra le luci psichedeliche di un club che pompa musica elettronica, e una matassa di corpi indistinguibili, fusi insieme, a ballare, a sudare, nell'alcol, nelle pasticche, anestetizzati dalle leggi razziali sui mutanti, dalla paura, e dalla diffidenza. Il ritmo massacrante li bombarda. Ha i capelli corti, e gli occhi ancora troppo innocenti e brutali, come quelli di un animale giovane pronto a divorarsi la vita. Sbatte contro ogni schiena, spalla, intreccia le mani con amici, amanti, sconosciuti. Si innamora di tutti, li calpesta tutti, si fa calpestare da tutti. Si spacca il labbro alla sesta canzone, alla settima si bacia con una ragazza bionda, all'ottava abbraccia Robert e gli dice ti amo domani mi arruolo e parto, ma ti prometto che torno. Tornerò. E sarà tutto come prima, tutto come questo pavimento scivoloso e pieno di coriandoli colorati. Lo abbraccia molte volte ed è troppo ubriaca per centrargli le labbra con le proprie, gli trova la cerniera dei pantaloni con le mani appiccate di rum, e il suo amore non ha un briciolo di pietà quando gli giura che si ritroveranno.

Lo sa che lui conterà i giorni e lei i proiettili. Che lui seguirà le stelle, lei i fari dei blindati nella notte, che lui si sentirà in colpa per ogni ragazza che stringerà la notte, per non sentire la sua mancanza, e lei stringerà fucili, e ogni bersaglio buttato giù le distruggerà ogni secondo di questa serata. Non saprà mai dove sarà Robert mentre lei tortura un arabo in un bunker per dodici giorni, ricucendogli le ferite per tenerlo in vita il più possibile. Non saprà mai quale università gli avrà risposto a quella dannata lettera (lo avranno fatto?) mentre lei falcia una famiglia intera con la mitragliatrice, perché non era previsto fossero loro i dipendenti di un laboratori di eroina. Non saprà mai se Robert le perdonerà tutto il sangue che ha lasciato scorrere, se gli potrà raccontare della ragazza incinta a cui ha spezzato il collo, se un giorno potrà tornare davanti la finestra della sua stanza ubriaca. Non sa che un giorno, tra il rombo di un motore e lo scoppio di una bomba si dimenticherà del suo viso, e che le mani di Robert sui suoi fianchi non le sentirà più -scivoleranno via come la primavera, senza accorgersene.

- Philadelphia

Non ha più diciotto anni, e i capelli sono lunghi, asimmetrici. Ha il ritmo nel sangue, e il coraggio di schiantarsi addosso alla gente, a volte la colpisce a volte se la bacia, ma balla fino a farsi scoppiare il cuore con la stessa elettricità selvatica, che aveva da ragazzina. Ingoia pillole su pillole, e versa più alcol a terra che in gola. Si lancia dentro la giungla di corpi, sbatte contro ogni schiena, spalla, intreccia le mani con amici, amanti, sconosciuti. Si innamora di tutti, li calpesta tutti, si fa calpestare da tutti. Si spacca il sopracciglio alla sesta canzone, alla settima soffoca il respiro sulla bocca della barista, all'ottava abbraccia Chantal e le dice ti prometto che torno con più alcol. Tornerò. E sarà tutto peggio di prima, tutto come questo pavimento scivoloso, pieno di vomito, piscio e sangue; ci precipita su quel pavimento, i polmoni cedono le strappano l'aria di bocca, dai muscoli, le impediscono di fare promesse. Trova la pace nell'incoscienza che la fa tremare e sbavare in un paio di spasmi secchi.

'a volte quelle pillole te le vorrei buttare nel cesso'

mercoledì 24 gennaio 2018


- Groundwater
Sono attorcigliate nel letto, petto contro petto, con le braccia fredde e gli occhi aperti nel buio. Un bacio sul mento, uno sulla guancia, uno sulla bocca, e un malessere che sfuma nel silenzio, mentre sfiora le garze che la compagna ha avvolte intorno alle mani. Si chiede se anche lei ha avuto il desiderio di spaccare qualcosa oggi. Se anche lei si è sentita impotente, arrabbiata, e colpevole.
Rimane tutta la notte a guardarla dormire con i crampi allo stomaco perché non vuole cacciare le pillole davanti a lei, e la fronte gelata di sudore con le mani intrecciate alle sue e gli occhi in fiamme che le bruciano mentre si ostina a fissare la luce di un lampione che illumina la strada. 

- Mi mancavi. Stare con te non potrebbe mai essere il surrogato di qualcos'altro.
- Mi manchi anche tu quando non ci vediamo per un po'.


- Non lo deve sapere nessuno. E' una debolezza.
scalcia un fiotto d'aria tremante, con gli occhi di Iris che le stringono il cuore in una fitta
- Nessuno lo saprà mai. I tuoi nemici sono i miei.

Da le spalle alla figlia di Athena con le parole di una lettera incastrate in gola

Sarebbe stato bello. Viaggiare e fare l’amore o come si dice da queste parti. Vivere in sintonia nonostante siamo esseri così dannatamente diversi. Forse. Ma non è la mia strada… Così spero solo che, rimanendo io ferma, presto il caso, le scelte o la nostalgia ti portino ad incrociarti di nuovo con me. 


- Ghost Road

le gira la testa, e ha ancora una nausea profonda a premerle sullo stomaco. E' nel cortile di un ex caserma con dei graffiti troppo simili a quelli che l'hanno tormentata non molte ore fa; dentro lo scheletro di una macchina, e anche questo la fa sorridere con un'amarezza disgustata, mentre qualcuno le sta addosso e cerca di spogliarla, e lei lo spintona, perché fa freddo e gli tira almeno un paio di gomitate nello spazio stretto di un paio di sedili sfondati, immersi in uno squallore, per sfilarsi i pantaloni troppo aderenti. Viene pressata dall'urgenza frenetica dell'altro, a cui oppone un'indifferenza svogliata, che non riesce a spacciare per languore, e per ogni mano sporca di terra che le si infila sotto la maglia, trattiene il fiato. Quando alza gli occhi bruciati dall'ossicodone sullo sconosciuto -brutalmente distante, si ricorda qualcosa che d'improvviso le riempie lo stomaco in un pugno di vuoto che le scivola tra le gambe, e non sa più se la vampata di calore che le brucia il corpo è solo un ricordo impigliato nella sua testa, o è lo sconosciuto che consuma la sua tensione barricato nelle macerie di una città distrutta.

non posso.
non posso e non voglio.
non posso e non voglio.

domenica 21 gennaio 2018

- da qualche parte nel deserto siriano

Il bombardiere insegue le dune di sabbia, scendendo in picchiata verso un villaggio di poche anime
- Tenente Reed bersaglio agganciato
Il pilota fa un cenno di vittoria a Clem, poco più indietro in piedi vicino la postazione dei sensori, legge i dati con una casacca militare con i gradi appuntati in petto, e il motto inciso sotto il suo nome: de oppresso liber

Judas la guarda masticandosi un'imprecazione a denti stretti, percorrendo lo spazio che intercorre dalla stiva alla zona di comando con un passo nervoso
- abbiamo ricevuto aggiornamenti: la cellula terroristica non è lì, ritira l'ordine. E' una follia ritira l'ordine
Clem parla addosso a Judas ignorandone il disgusto che gli afferra la voce, facendo un cenno affermativo al pilota, con gli occhi incollati alle case di pietra e fango e alla punta più alta della città: l'ospedale di qualche organizzazione umanitaria
- prepararsi a sganciare le bombe sull'ospedale, tutte. Nessuno deve avere l'opportunità di scappare né di salvarsi
- hai sentito che ho detto?
anche il pilota ignora Judas, iniziando le manovre
- scendo di quota tenente


- i servizi di intelligence hanno detto che qualcuno è ancora rimasto dentro
- CI SONO SOLO CIVILI 
Judas ha gli occhi verdi pieni di sdegno e incomprensione, e si lancia per strattonare il colletto di Clem per sbatterla contro la parete di metallo, e si prende uno sputo in faccia e una ginocchiata nelle palle. Nessuno fiata e nessuno si mette in mezzo, i soldati rimango tutti ai loro posti lanciandosi occhiate storte. 
- ho -- detto 
ha il fiato corto e gli occhi da belva, e abbaia contro il pilota per mantenere l'ordine. E ha un astio che se la mangia viva. 
- non devi bombardare solo l'ospedale, è così?
- saprai tutto dopo
- DOPO? DOPO AVER ASSASSINATO GENTE INNOCENTE?
- bombardate. Ora. 
- ci sono solo pastori, solo cazzo di pastori
- proteggono dei terroristi
- che alternativa hanno?
- un'altra parola Judas, e diventi un disertore
- FERMATI T'HO DETTO COGLIONE, NON E' LUCIDA, NON E' LUCIDA
Judas non riesce a raggiungere il pilota, e non è mai stato un disertore, ha solo una paura infinita che questa guerra diventi un mattatoio. Nella supplica terrorizzata che gli sbarra gli occhi, trova la bocca di fuoco della pistola di Clem che spara un solo proiettile dietro la sua nuca.
- radete tutto al suolo, voglio vederlo sparire dalle mappe questo posto di merda, chiunque ospiti un ricercato per terrorismo diventa un bersaglio. I bersagli noi li abbattiamo. E se ci sono altri disertori fatevi avanti prima che rimetta la sicura alla pistola.

Judas è il primo a crollare, e lo fa in modo quasi identico all'ospedale quando le bombe scivolano delicate come colombe nere, in modo inaspettato e silenzioso; l'esplosivo detona con la potenza di un uragano. Non è solo l'ospedale ad essere abbattuto, ma tutto il villaggio che viene inghiottito nella bocca dell'inferno, e trema, trema di fuoco bruciando l'aria in una vampata di nera che si solleverà da terra per almeno tre giorni prima di spegnersi. 


-  Philadelphia

Non le è bastato lanciarsi addosso al gruppo di Mama Duambelee, e non è bastato il fuoco degli Ak a bucarle la corazza a toglierle la sensazione spiacevole di avere ancora il sangue sulle nocche dopo essere uscita dal Node. Non è bastato stordirsi di ossicodone e di alcol, per dimenticarsi la piega delle labbra di Galen cucite nel silenzio, affogate a ridosso di un bicchiere di vetro.

E quando ha voltato le spalle agli occhi ostinati di Iphigenia, alle parole gridate in faccia all'armor, ad aspettarla nel cielo, c'erano le colombe nere e il deserto siriano a bruciarle il cuore in un incendio silenzioso, che ha smesso di intossicarla solo quando ha scelto con cura di sedersi difronte alla porta chiusa della camera di Galen, per accasciarsi a dormire; un paio d'ore soltanto, e cinque pasticche sciolte sotto la lingua come cartoncini di lsd.